Una componente del primo gruppo giovanile che affiancò don Luigi all'Aravecchia ricorda….
Ho conosciuto don Luigi nel 1971/72, facevo seconda liceo. Qualcuno mi disse che nella chiesina c’era una proiezione di diapositive di questo nuovo vice parroco che era appena tornato dal lebbrosario del Brasile. Siccome si era giovani, un po’ curiosi, con la voglia di vedere qualcosa di nuovo, siamo andati. Oltretutto la parrocchia era appena stata costituita quindi c’era molta curiosità. La proiezione, se non ricordo male, è andata avanti più di una sera perché abbiamo visto tantissime diapositive. Mi ricordo di questo pretino magro, slanciato, giovane, con i capelli corti, ricciolino e senza barba, che parlava un modenese misto a brasiliano con qualche parola di italiano, aveva mescolato tutto insieme. Quelle serate sono state la calamita che ha attirato un mucchio di ragazzi che hanno cominciato frequentare la sua casa e a impegnarsi per i poveri. All’inizio non ci credi neanche tanto, lo fai perché ti piace farlo, vuoi essere alternativo. Poi la cosa ti prende la mano e ti accorgi che in effetti vale la pena: io ancora adesso quando penso che anche soltanto qualche persiana o qualche vetro in quel lebbrosario ce l’ho messa anch’io, sono molto soddisfatta perché non ho contribuito dando del denaro, ma dando del tempo e della fatica. Da allora abbiamo cominciato a trovarci: all’inizio nella sua casa che era composta da una stanzetta sola con un letto, che è poi il letto che ha conservato fino alla fine, un tavolo e quattro sedie. Mi ricordo di certe riunioni in quella stanza di dodici metri quadri con gente seduta per terra, altri seduti sul tavolo, altri sul letto. Lui conservava tutte le sue cose sotto il letto. Poi decisero di dargli altre due stanze, allora buttò giù una parete e ampliò la stanza d’ingresso che divenne il salone mentre la stanza a fianco divenne la sua camera da letto. Invece di tenere le cose sotto il letto aveva fatto mettere degli scaffali con dei tendoni davanti e lì lui teneva la sua biancheria. Sotto il letto però continuava a tenere delle cose che, facendo la raccolta della carta, degli stracci e del ferro, a lui potevano servire. Aveva già da allora la mania della persona che raccoglie e a cui piacciono le cose vecchie e quindi le cose che potevano essere più interessanti lui le teneva perché potevano servirgli o per arredare o per dei lavori. Mi ricordo di una volta in cui lo avevo portato da qualche parte in macchina, mi fece fermare lungo la strada perché aveva visto un pezzo di cartone per terra. Perché allora si vendeva e si guadagnava qualche soldo. Il nostro lavoro principale era raccogliere carta, stracci, ferro, poi andare a venderli e mandare il ricavato al lebbrosario. Noi ragazzi ci trovavamo tutte le sere, avevamo un grosso calendario su cui erano segnati tutti gli appuntamenti: avevamo tutte le sere impegnate e una sera la settimana era dedicata alla Messa. Diceva la Messa intorno al tavolo e usava un vecchio calice di porcellana blu e bianca e una tovaglia che era stata ricamata a mano da una donna del lebbrosario che non aveva più le mani, aveva solo un moncherino, eppure lei con quel moncherino e dei bastoncini riusciva a ricamare. Poi abbiamo deciso che questo messaggio che lui ci portava doveva essere conosciuto anche dagli altri, abbiamo quindi messo in piedi uno spettacolo, lo chiamavamo il “Recital: letture per chi non ha voce”, e c’erano diapositive, messaggi di speranza, canzoni. Credo di aver girato tutti i paesi del circondario perché questa cosa è andata avanti per lungo tempo e don Luigi era sempre con noi perché diceva sempre qualche parola. Questo per quanto riguarda i rapporti con i ragazzi. Io però mi ricordo che quando lui è arrivato all’Aravecchia, il cosiddetto casermone dove lui aveva la stanzetta era una casa praticamente diroccata, molto brutta da vedere anche all’esterno, aveva una parte, che poi fu la prima ad essere demolita, verso l’attuale bocciodromo, dove c’era il vecchio mulino. Una delle prime cose che lui volle fare quando ebbe un po’ di persone che lo assecondavano, fu di asfaltare il cortile e di imbiancare il casermone e gli infissi tanto che quella casa aveva un aspetto diverso. Questo perché lui ci teneva che l’Aravecchia non fosse considerata un ghetto, perché così era considerata allora, un posto dove vivevano poveracci e delinquenti. Più avanti gli venne in mente di creare una piccola comunità dove tenere dei ragazzi che avessero bisogno di una mano per affrontare di nuovo la vita. Questa comunità occupava una piccola parte del casermone. Nacque dunque questo piccolo nucleo che poi andò man mano lievitando e crebbe anche perché con la legge Basaglia erano stati chiusi i manicomi e don Luigi si era trovato a dover ospitare un gruppo di persone che, uscite dal manicomio, non sapevano dove andare: la Mariuccia, il Domenico, il Bianchi, il “maestro”e il “gatto”. Avevano la loro stanzetta e una certa indipendenza perché il casermone era diviso in diversi appartamenti anche se poi si trovavano tutti insieme per i pasti e ogni sera per la riunione perché don Luigi li radunava e parlava loro. Più avanti, con l’arrivo di altri ragazzi, si è resa necessaria una struttura più grande. Aveva perciò fatto fare un progetto per la ristrutturazione del casermone, che era composto da due cortili e da un braccio centrale che consentiva il passaggio da un cortile all’altro. Nel braccio centrale lui voleva fare la chiesa, da una parte del cortile voleva fare dei mini appartamenti per gli anziani e dall’altra parte la casa della comunità.
Il comune gli aveva dato il terreno per la costruzione della chiesa e lui aveva proposto il cambio, il casermone da ristrutturare in cambio del terreno. Alla fine non se ne fece nulla perchè il casermone era considerato il ghetto dei diseredati e proprio per questo doveva essere distrutto. Da lì don Luigi cominciò pensare alla costruzione della nuova casa.
Ricordo che l’Arcivescovo, mons. Mensa, veniva spesso all’Aravecchia, in particolare veniva per l’Epifania e don Luigi preparava da mangiare. L’anno in cui c’era l’austeriti, non avevamo i soldi per il taxi e allora il Gegè era andato a prendere il Vescovo con il tandem. Mensa aveva accettato di buon grado e anche al ritorno mi ricordo l’arcivescovo sul sellino dietro che pedalava di buona lena, con la schiena un po’ inclinata come per dare più spinta ai pedali, la papalina in testa e la veste che si gonfiava. Il vescovo aveva capito pienamente qual era lo spirito dell’Aravecchia e si fermava volentieri anche con tutti i ragazzi a chiacchierare.
Don Luigi amava anche portare i suoi ragazzi in vacanza. Le prime vacanze che ha fatto sono state a Taizè con un vecchio furgone Renault che aveva le portiere laterali che scorrevano. L’aveva caricato di patate e nutella. Al ritorno quel furgone l’aveva soprannominato “provvidenza” perché si era rotto e avevano fatto gli ultimi cento chilometri in seconda. Arrivati all’Aravecchia avevano baciato la terra e don Luigi disse: “bisogna sempre affidarsi alla Provvidenza perché lei non ci abbandona mai”. Poi aveva comprato un altro furgone e anche quello lo usava per le vacanze. La prima vacanza che ho fatto con lui è stata a Policoro, in Basilicata. All’interno del furgone avevamo caricato una vera e propria dispensa, intendo un mobile nel quale c’erano tutti i nostri viveri. Solo che arrivati a Policoro avevamo posteggiato in un bellissimo boschetto di eucalipti ma alla sera si era riempito di zanzare, allora la sera dopo abbiamo trovato rifugio in città in un vecchio cinema abbandonato. Poi per dieci anni siamo andati in Sardegna. Don Luigi alla vista dell’acqua si trasformava, correva sulla spiaggia e nuotava. A lui piaceva fare il bagno al mattino presto “quando nessuno ci aveva ancora fatto la pipì dentro”! E la sera si andava in un bar e lui giocava al biliardo. Una volta aveva scoperto che nel mare di Sardegna c’erano dei cocci di anfore portati dalla corrente: voleva che ci tuffassimo per recuperarli perché a lui piacevano molto le cose vecchie. Gli avevano regalato dei capitelli che avevamo portato a casa, forse sono proprio quelli che ora sono in chiesa.
Poi siamo andati diverse volte a Roma col pullman. Ricordo un viaggio in Grecia molto particolare: con gli zaini siamo andati a Brindisi in treno poi da lì abbiamo preso una nave, abbiamo messo tutti i sacchi a pelo sul ponte e stavamo lì. Abbiamo fatto 24 ore di nave. Poi lui aveva trovato un albergo vicino all’aeroporto di Atene, è vero che si risparmiava un po’ però avevamo i jet che ci passavano sopra la testa!
Mi ricordo che anche quando c’era già la casa nuova noi organizzavamo sempre delle gite la domenica e lui veniva, magari lo portavamo a trovare la sua mamma oppure si andava a spasso e questo era molto importante. Poi ci si trovava sempre per le feste e i capodanni, quante volte abbiamo cominciato l’anno nuovo con un Padre Nostro e una Messa e poi si mangiava.
Don Luigi ha dato un’impronta alla mia vita, mi ha indicato un percorso di rettitudine e onestà. Io lo ringrazio sempre perché ho avuto una bellissima gioventù, credo di essere sempre stata una ragazza molto allegra e spensierata, mi è piaciuto tutto e se tornassi indietro rifarei quello che ho fatto. Poi ho conosciuto mio marito da lui, ci ha sposato, ha battezzato mia figlia, ha dato l’estrema unzione a mio marito, era con me, abbiamo pianto insieme quella sera accanto al letto. Dopo quel momento don Luigi per me è diventato ancora più importante e ora se penso che lui non c’è più non mi sembra vero. Me lo ricordo con la Rossana quando era piccolina e non stava bene, lui la prendeva in braccio, se la caricava sulla pancia a gambe larghe e la faceva passeggiare su e giù per quella stanza perché la Rossana diceva che quando stava in braccio a don Luigi il mal di pancia le passava. E lui paziente, paziente, sempre paziente con gli ammalati, con i bisognosi e con le persone che se ne stavano andando.
Mi ha lasciato un vuoto incredibile.
LIBORIA